Head hunter, una professione che cambia con le tecnologie

Avremo ancora bisogno degli Head hunters? La risposta a questa domanda è sicuramente affermativa. Tuttavia c’è un “però” che non possiamo ignorare: l’uso sempre più frequente della tecnologia e degli algoritmi per l’estrazione e l’elaborazione dei dati. Se è innegabile, infatti, che il mondo delle risorse umane sia fatto quasi completamente di relazioni personali, è altrettanto vero che il comparto dell’HR TECH sta crescendo sempre di più: 2,4 miliardi di dollari di investimenti in questo ambito nel 2015 e 2,39 miliardi stimati per il 2016. E probabilmente questa cifra è destinata a crescere.

La gestione e l’elaborazione dei dati – non solo in ambito HR – soprattutto quando i numeri sono elevati (pensiamo a qualsiasi database) sono oggetto, da tempo ormai, di processi di automatizzazione. I CRM permettono di effettuare estrazioni con maggiore facilità e velocità. Ma la semplice estrazione non può bastare. I dati, infatti, devono essere interpretati correttamente. E quando si parla di risorse umane, questa interpretazione deve essere molto accurata e una macchina non può sostituire l’uomo.

Per capire se le informazioni inserite nei cv sono vere – giusto per fare un esempio concreto – non c’è altra strada che uno scambio tra candidato e selezionatore. Uno scambio che può certamente avvenire via Skype, via telefono o attraverso i molteplici strumenti che la tecnologia mette a disposizione, ma che non può essere completamente eliminato dal processo di selezione. L’utilizzo di particolari strumenti, dunque, deve essere visto come un modo per snellire e rendere efficienti i processi di selezione, non per sostituire completamente l’uomo.

Un esempio concreto: ci sono alcuni algoritmi che, attraverso la ricerca semantica, permettono di razionalizzare i database di CV ed estrarre le informazioni necessarie da ogni candidato in modo automatico, anche quando non compaiono le parole chiave “classiche” (ognuno può descrivere in modo diverso le proprie competenze). Oppure attraverso un altro algoritmo è possibile, ad esempio, estrarre le soft skills dei candidati (che solitamente sono nella parte finale del cv) in modo che il selezionatore, interrogando il database, sia in grado di creare team senza conflitti per le incompatibilità caratteriali dei membri. Un altro grande problema è, inoltre, trovare i candidati che siano disposti a lavorare in una certa città. Attraverso la geolocalizzazione, dunque, è possibile avere solo i cv dei candidati interessati a quell’area.

In EasyHunters, facciamo proprio questo: sfruttiamo la tecnologia per rendere l’iter di selezione efficiente. Il normale processo ha sempre costretto i candidati a spostarsi anche per il primo colloquio conoscitivo con evidenti – e inutili – sprechi, di denaro e di tempo. Grazie agli strumenti digitali, ora, è possibile eliminare queste distanze. Ma fare un colloquio al telefono, via Skype o Facetime, non significa che sia meno approfondito o di minore qualità. I recruiter di EasyHunters incontrano i candidati online – esattamente come accade, milioni di volte, quando si fanno dei meeting con i colleghi dall’altra parte del mondo – ma il colloquio è esattamente identico a quello che farebbero se l’incontro avvenisse nei nostri uffici.

Io credo, quindi, che la tecnologia debba essere utilizzata come strumento per gli HR e non percepita come una minaccia. Il talento sarà sempre valutato da una persona. Quello che cambierà sarà semplicemente il “luogo” del colloquio.

* L’articolo originale è stato pubblicato da www.ilsole24ore.com qui

Ciascuno di noi è una vetrina online, enorme e potentissima

Saper gestire bene i propri profili social e saper creare dei contenuti interessanti ed attrattivi è una competenza molto importante che, in alcuni casi, dovrebbe anche essere inserita nei cv. Di solito pensiamo sempre, sbagliando, che questi canali siano solo personali.

Almeno in Italia, Facebook serve quasi unicamente per rimanere in contatto con i propri amici e sapere cosa fanno. Instagram per soddisfare la nostra voglia di condividere le cose che ci accadono attraverso le immagini: la cena al ristorante, il viaggio al mare o l’ultimo paio di scarpe acquistato. E LinkedIn? E’ il social professionale, quello che viene usato ed aggiornato solo per motivi legati alle opportunità lavorative, nella speranza che qualcuno possa notare il nostro profilo e, ancora meglio, chiamarci per offrire un lavoro.
LinkedIn è usato prevalentemente dai professionisti del mondo HR per trovare i candidati. Il resto del mondo, invece, lo usa – oltre chiaramente che per i motivi che dicevamo prima – anche per aggiornarsi, avere notizie di settore o avere informazioni sulla carriera di persone più o meno conosciute.
Ma c’è molto di più. Attraverso i social è possibile capire molto dei manager o delle aziende e avere tantissime informazioni. Pochi, però, hanno capito che ciascuno di noi è una vetrina – enorme e potentissima – dell’azienda che rappresenta. Saper usare correttamente i social genera benefici per la persona, ma anche per l’azienda per cui lavora. Di contro, usarli in modo sbagliato e superficiale, genera danni.
Significa, in parole semplici, che essere in grado di trovare e postare contenuti giusti, interessanti e virali è una competenza. Ricordate i giornalini della scuola o dell’università? C’era chi scriveva gli articoli, chi impaginava e chi distribuiva.
Anche oggi è più o meno così. Solo che ognuno di noi è il suo media online. E la diffusione cresce con il crescere del nostro network virtuale.
Sempre più spesso, ormai, i giovani sceglieranno le aziende anche per come comunicano sui social non solo tramite le pagine ufficiali, ma anche – e soprattutto – tramite i propri manager.