Le chiamiamo abilità trasversali, competenze soft ed anche «life skills». Questa molteplicità di espressioni evidenzia come si tratti di concetti sfuggenti e capacità accessorie rispetto alle conoscenze tecniche. In realtà le aziende di ogni settore, tipologia e dimensione risentono concretamente della carenza delle life skills tra i propri dipendenti a tutti i livelli. E proprio grazie al patrimonio personale di abilità trasversali un candidato può differenziarsi da tutti gli altri ed emergere durante il colloquio di selezione. Non possiamo negarlo: a parità di competenze tecniche, qualunque selezionatore sceglierà il professionista che sa collaborare con i propri colleghi, che è orientato al problem solving o che è in grado di smorzare, sul nascere, i conflitti.
In realtà, anche le life skills si possono acquisire ed allenare e un recente studio internazionale di Boston Consulting, primaria società di consulenza manageriale, invita le università ad introdurre nei propri percorsi queste aree in modo che i neolaureati siano pronti al mercato del lavoro di industry 4.0. Nel nuovo paradigma che vedrà la massiccia diffusione di innovazioni tecnologiche intelligenti e interconnesse, infatti, ai professionisti verrà richiesto uno sforzo significativo di adattamento ai cambiamenti che incideranno sui ruoli rendendoli sempre più trasversali e multidisciplinari.
«Aprire la mente» sarà sempre più un driver del cambiamento e la trasformazione digitale imporrà flessibilità adattiva, mentalità indiziaria, pensiero critico e disponibilità alle contaminazione esterne. Come diceva Louis Pasteur, infatti, «Il cambiamento favorisce soltanto le menti preparate ad accoglierlo». Sicuramente bisogna guardare con preoccupazione alle previsioni che prospettano una significativa riduzione dei posti di lavoro. Tuttavia, l’approccio più produttivo è quello di prepararsi ad affrontare queste innovazioni dotandosi degli strumenti professionali che permetteranno al nostro profilo di essere vincente anche nel rinnovato contesto, abbandonando quindi la visione del nostro lavoro come routinario.
Per concludere, quindi, non possiamo non essere d’accordo con Tim Cook che recentemente ha affermato, parlando ai laureati del MIT: «Non ho paura che l’intelligenza artificiale dia ai computer la capacità di pensare come gli esseri umani. Sono più preoccupato delle persone che pensano come i computer».
* L’articolo originale è stato pubblicato da www.ilsole24ore.com qui.