Quando a fine gennaio ho dovuto resettare la mia vita professionale, non avrei scommesso un euro sul mio passaggio a independent player. Ho lavorato come dipendente per quasi 20 anni e mi risultava un po’ difficile pensare di agire, da un giorno all’altro, da sola.
Mi è capitato – come credo capiti a tutti – di pormi la domanda “e se cambiassi la mia vita professionale e non fossi più una dipendente?”. Ma siamo sinceri, finché non ci sbatti il muso contro non ti rendi conto di cosa voglia dire davvero trovarsi – appunto – da sola. Professionalmente parlando, chiaramente.
Ho sempre fatto il commerciale, ma ho sempre avuto famosissimi brand alle spalle. E vendere con la consapevolezza di avere in mano un prodotto o un servizio noto e universalmente riconosciuto non è esattamente come vendere se stessi.
Viviamo in un’era in cui alla domanda “cosa fai?” rispondiamo con il titolo e ruolo che ricopriamo. Come se le nostre capacità si possano riassumere in un titolo. E quello che sappiamo fare dove finisce?
Ecco, io mi sono svegliata una mattina e d’un tratto non avevo più un titolo altisonante sul biglietto da visita. Avevo però una tonnellata di competenze acquisite in anni di studio e di lavoro sul campo da comunicare all’esterno. E dovevo presentarmi al mondo in un momento in cui anche io non sapevo cosa ero esattamente.
Devo ringraziare un conoscente – che oggi è mio cliente – che a febbraio mi ha chiesto di aiutarlo nel miglioramento della sua società. Voleva, in altre parole, che gli facessi da consulente.
“Consulente” è una parola fantastica che contiene dentro il mondo. Fare il consulente vuol dire tutto e vuol dire niente. Devo ammettere che è un termine che mi ha fatto sempre un sacco di paura; ritrovarmi da un giorno all’altro a fare il consulente è stato un trauma. Consulente di chi? Di cosa?
Lavorare con questo mio cliente mi ha aiutata a capire che le mie competenze sono nell’organizzazione strategica, nell’organizzazione, selezione e gestione delle risorse umane e nell’evoluzione della struttura. Ma soprattutto mi ha aiutata a capire che per portare nelle aziende questo mio sapere, non è necessario mostrare un biglietto da visita che porta il logo di una famosa società.
Da febbraio, sono arrivati altri clienti. E con il tempo, la parola “consulente” ha iniziato a farmi sempre meno paura. È una sfida immensa: metto il naso in un sacco di cose (alcune molto divertenti, devo ammetterlo), entro in contatto con business differenti, conosco un sacco di persone e mi confronto con numerose culture aziendali.
È, però, anche un lavoro difficile e molto impegnativo. Richiede uno sforzo mentale non indifferente perché ogni volta che entro in azienda devo essere al 100% e focalizzata su quella società. Non posso andare per inerzia. Essere consulente è davvero molto impegnativo. Occorre molto tempo per consolidare le relazioni esistenti e anche per crearne altre che possano portare nuovo business. Il grande vantaggio, però, è che sono il capo di me stessa. Mi auto-regolo e mi auto-gestisco.
secondo me il prossimo step…scrivere un libro! :)))
Gentilissima Francesca
Nel leggere la Sua storia, ho riletto la mia da gennaio ad oggi. Percorso difficile ma entusiasmante, ed ogni giorno che passa ed ogni passo avanti che fai, comprendo che ho fatto la scelta giusta, una bellissima nuova prospettiva! Complimenti e ad maiora!